lunedì 3 febbraio 2014

Parole.


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"Po-pi-po"

"Po-pi-po"

Marco si sta allenando nell’ultima sfida tra lui e la sua coordinazione lingua-palato.
Niente da fare: proprio non capisce cosa c’entra una l in mezzo a tante p.

Quando ormai abbiamo perso le speranze, ecco che la l fa capolino e spunta un polipo bello preciso. A me pare di vedergli anche i tentacoli!

Ripensandoci però, popipo suonava decisamente meglio, ma così vanno le cose, mica l’ho scritto io il vocabolario.

Tutti abbiamo delle parole che ci restano nella testa, in quella zona dei ricordi che sembrano dormienti e invece spuntano fuori appena li stuzzichi un po’.

Ricordo bene quelle due parole - le ultime due, per essere precisa - che proprio non riuscivo a pronunciare: stuzzicadente e principessa. Quando le ripeto sono ancora fiera di averle fatte incontrare. Sono rimaste imprigionate a lungo nel mio palato imbranato, prima di essere scandite e diventare delle parole come tutte le altre.

Pimpicessa e tucchicadette: decisamente più orecchiabili.
Pimpicessa e tucchicadente: decisamente più mie.
Un po’ come quel polipo zoppicante, che era il popipo di Marco.



Ho iniziato a parlare tardi e poi non ho più smesso.
La mia prima parola è stata pappa, pronunciata con una certa stizza, tra un cucchiaio e l’altro.

Ho imparato in fretta a scandire bene ogni parola, partendo dal mio nome: Annalisa-una parola. La Camera-due parole.

Ho chiesto un miliardo di perché e molti sono ancora lì attaccati al loro punto di domanda. Ma al momento sono impegnata a rispondere a tutti i perché di Marco.

Ricordo il primo ciao che ho detto stringendo la mano di persone che poi non avrei lasciato mai più. E ciao distratti, buttati lì, senza pensarci troppo. E poi c’è un ciao, uscito come un sussurro, quando ho visto Marco per la prima volta, che adesso è diventato il nostro modo di dirci “ti voglio bene”.

Con la parola scusa ho un conto in sospeso: la dico male. Non ho dimestichezza. Quando conta, mi manca il coraggio di pronunciarla. Quando non serve, affiora sempre sulle mie labbra. Un po’ come un ospite inatteso, che fa capolino nei momenti meno opportuni.

Grazie è la mia preferita. Una delle prime parole di Marco.
Interi momenti della mia vita li potrei intitolare solo con grazie. E sono pure i più belli!

Mi piacciono le parole. 
Per quello che vogliono dire o solo per come suonano.
Mi piace scriverle e scoprire nuovi abbinamenti: come presentare un piatto a un buon vino. 
Bello è farle affiorare, anche se non sono perfette. Perché un popipo, funziona benissimo anche così.
L'importante è amare la parola che provoca una reazione. (Gabriella Ambrosio)

E in questo, Marco, è un vero professionista.



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