martedì 21 gennaio 2014

Uno sguardo vale più di mille parole.


Ho visto troppe buone cause fallire per mancanza di competenza nel comunicare. (Bill Bernbach)

-65

Marco sa parlare come un bambino della sua età. Né più, né meno.
A volte fa interi discorsi che capisce solo lui. Altre, mi stupisce con risposte alla Gassman.

I bambini sono così, quando un adulto prova a parlare come loro, proprio non ci riesce. Non fa ridere nessuno. Imitarli è impossibile: questo è l’unico caso in cui vale solo l’originale. Con buona pace di tutta la pirateria, che riesce a farti una borsa di Gucci ma non riuscirebbe mai a contraffare un bambino.

Ogni cucciolo d’uomo ha i suoi punti di forza e ogni genitore pensa che il modo di parlare di suo figlio sia il più simpatico al mondo. Meglio di qualunque filmato trovato su You Tube, meglio di qualunque pubblicità, meglio di qualunque attore di Zelig, se solo esistesse l’edizione under three.

Mio figlio è un one-man-show.

Mio figlio potrebbe già fare il protagonista di qualche commedia di Hollywood, peccato che l’inglese non lo mastichi bene.

Ah, il mio piccolo portento… quest’anno, a Natale, ha fatto uno sketch tutto suo, con la regia di Mel Brooks


La verità è che, alla fine, noi genitori siamo il pubblico più bello che ci sia. Loro possono propinarci una scenetta all’altezza del peggior Boldi e noi giù a ridere come matti. È così: non aspettiamo altro.

Marco fa una cosa particolarmente divertente, nel fluire delle sue poche parole. Quello di cambiare magistralmente (dico io) la vocale iniziale. Basta poco, perché il risultato suoni così bene, che anch’io ho smesso di pronunciare alcune parole nel loro banale modo corretto. (quando verrò richiamata da qualche maestra per probabile dislessia, smetterò!)

Alcuni esempi:

La sua amata camomilla è la mammomilla… d’altronde, è o non è la sua mamma a preparargliela?!
La Luna è stata per molti mesi, la Tuna.
Lo zio è stato promosso a dio.
La prugna, la trugna.
Il papà, che chiama Guidone, è diventato Bidone.
Anche la frutta ha dovuto abbandonare la sua f per una più simpatica t. Ed è diventata la trutta.

Ieri pomeriggio, stavamo giocando in una piccola piazza pedonale. Al centro c’è una fontana e in mezzo a questa fontana, spicca una scultura di bronzo, un po’ stilizzata. Sembrava un uomo che si allunga a prendere qualcosa.



Marco: “Cos’è mamma?”

“Un uomo nudo”, gli rispondo.

Marco: “Un uomo?”

“Eh direi di sì, a vederlo così… ma leggiamo un po’ cosa c’è scritto su questa targa.
Ah ecco vedi: c’è scritto “Il dio Pan è morto.”



Nella mia profonda ignoranza, non ho pensato neanche per un secondo di aver placato la sua curiosità, visto che non avevo placato nemmeno la mia. Però speravo di averlo annoiato a sufficienza da farlo desistere.

Invece no.

Secondo voi, in mezzo a quella piazzetta - per fortuna poco affollata - in cosa può essere stata tramutata quella P iniziale di Pan?

Ma che velocità! Avete capito benissimo.

Anche Marco deve aver capito una cosa importante: la grande differenza tra una P e una C. E non ho nemmeno dovuto sprecare tante parole, è rimasto incenerito dallo sguardo della sua mamma. 


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