mercoledì 8 gennaio 2014

Sognando brioches.


-70

Una cosa è lampante: gli istinti dominano.
(Bill Bernbach – dal discorso all’American Association of Advertising Agencies, 1980).

Ho già parlato del rapporto di Marco con il cibo. Così profondo e viscerale, da scandire i momenti più importanti della sua vita, tanto da chiedere una focaccia grande così nella sua prima lettera a Babbo Natale.

Questo avviene durante il giorno, ma ancora non mi ero interrogata sul suo amore per il cibo, anche di notte.


In poco più di due anni, i modi in cui sono stata risucchiata dal sonno nel cuore della notte, sono stati molti e tanto diversi tra loro. Tutti i genitori sviluppano un radar per essere operativi 24 ore su 24. Anche se il mio non è dei più sofisticati, ha dato una mano nei momenti di emergenza.

I primi urli non si scordano mai. 10 giorni, ma soprattutto 10 notti, in cui Marco non ha mai smesso di piangere. Poverino, non era colpa sua, io non avevo latte e non lo sapevo. Per lui era come andare al ristorante, sedersi, ordinare e ogni santissima volta, essere servito con piatti vuoti. E così via, per sei pasti al giorno. Diciamo che se non fossi intervenuta subito, Marco avrebbe iniziato a parlare molto, ma molto, presto.

Poi c’è stata la notte dell’otite. Uno squarcio nella buio. Un urlo che volevano brevettare all’Amplifon per i test sonori. Un secondo per capire dov’ero e un altro per farmela addosso: sono le due e Marco sta male.
Lo prendo e continuo a chiedergli: “Dimmi dove senti male. Dimmi dove senti male!”, scandendo bene ogni parola.
Evidentemente non mi era chiaro che, se vado nello Yemen e cerco di parlare italiano (scandito bene s’intende), non è che allora comunichiamo con facilità. 
Vale lo stesso con un bambino di sette mesi.
Ma una mamma nel panico, non si lascia fermare nemmeno dal muro dell’incomunicabilità!

Una meravigliosa abitudine di Marco è fare la cacca di notte: “Sono qui nel mio lettino, sono le tre e tutto tace. Cosa potrei fare adesso? La cacca, ovviamente.”
E tataaaan, lascia andare gli ormeggi.
Dopo poco, però, si accorge che è tanto comodo farla mentre si dorme, ma non è altrettanto piacevole conviverci. Così, chiama il cambio. Il problema è che i tempi non sono quelli di un pit stop e, al posto del team Ferrari, arriva una mamma strascicata con due pugni negli occhi. Riparato il danno torno a dormire le ore che rimangono, con un odore di cacca inchiodato proprio lì: tra naso e polmoni.

Poi ci sono le notti che una domanda me la faccio. Se sento mio figlio che, nel sonno, con tono perentorio dice: 
“Mai più mamma Isa. Mai più!”
Va bene adesso che ha due anni, ma se poi, a quindici, me lo ritrovo vicino al letto con un coltello da cucina? Avrò il tempo di chiedermi perché non ho preso provvedimenti prima?

Per fortuna ci sono anche le notti in cui Marco parla con Babbo Natale e io vorrei farmi piccola, piccola per entrare nei suoi sogni senza essere vista. Per scoprire tutto quello che si stanno dicendo. Ma per ora mi devo accontentare di quelle poche parole affiorate sulla sua bocca, nel silenzio della notte di Natale.

E arriviamo a stanotte. Una delle tante notti che Marco passa nel suo lettino, litigando un po’ con la coperta, stropicciando il suo coniglietto che non si può ribellare, perdendo il ciuccio e cercandolo nel sonno. Quelle notti che è bello da guardare e basta, anzi no, anche da ascoltare perché il suono del suo respiro quando dorme è meglio di cento violini.
“Buonanotte Marco, e continua a fare grandi sogni.”

Non faccio in tempo ad uscire dalla stanza, che sento un mugugno e poi un borbottio, sempre più chiaro.
Torno a dare un’occhiata ma vedo che i suoi occhi sono chiusi.
Eppure sono sicura di aver sentito qualcosa.
Avvicino l’orecchio al lettino…

Marco: “Brioche grande così… brioche grande così!”

Per ora, i suoi sogni, sono grandi come brioches.



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